mercoledì 6 febbraio 2013

I capricci di Topo Tip


Topo Tip fa i capricci si potrebbe dire il libro-manifesto della serie. Pubblicato per la prima volta nel 2003, ha avviato al successo questo personaggio che è ormai diventato un divo da due milioni di copie, come afferma compiaciuto il suo editore in un'intervista di qualche mese fa per «Io Donna» .

Che Tip sia un tipo "capriccioso" ce lo ricorda sempre la didascalia che incornicia ognuna delle sue avventure (Topo Tip fa i capricci, proprio come i nostri bambini, ma la sua mamma è bravissima...), e un episodio dedicato tutto alle sue bizze sembra essere quindi un'occasione perfetta per conoscere bene questo topino, rappresentante dei nostri bambini, e la sua saggia genitrice, modello di talento pedagogico.

Topo Tip è un bravo topino, ma questa mattina si è svegliato di umore particolarmente capriccioso

Si è svegliato così, dunque, Tip, quasi posseduto da una disposizione d'animo di cui non è propriamente lui il titolare, un virus di cui soffre con una certa frequenza, preparatevi a vedere cosa combinerà oggi. L'aspettativa del lettore è orientata in una direzione ben precisa: tutti i comportamenti che Tip metterà in atto sono  sicuramente sbagliati e privi di senso, determinati appunto dall'umore che gli è piombato addosso al risveglio; d'altro canto il processo di identificazione è garantito dal fatto che Tip sia definito comunque un bravo topino (da un "cattivo topino" si prenderebbe, di certo, maggiore distanza).

Eccolo allora sfoggiare il tipico campionario dei presunti atti di disobbedienza di un bambino, che si susseguono qui con un'insistenza davvero tendenziosa, funzionale a inscrivere lui nello stereotipo dell'insopportabile piantagrane e la mamma in quello della santa donna

La prima manifestazione del morbo in questa sfortunata giornata è il suo rifiuto di mettersi la felpa prima di uscire.


 Mettiti la felpa a fiori, così starai ben caldo quando usciamo a passeggio

Visto che sono ancora dentro casa, Tip non sente l'esigenza di coprirsi ulteriormente

non la voglio! Sto benissimo con questa maglietta! 
Peggio per te! Se avrai freddo, farai una bella corsa!, sospira la mamma

Ora, se la premessa non avesse provveduto a manipolare la prospettiva del lettore, sarebbe più facile insospettirsi di fronte ad una risposta del genere, anzi sarebbe più plausibile pensare che è la mamma ad essersi svegliata capricciosa (o nervosa, stanca, stressata, per gli adulti va così, capricciosi non sono mai, a meno che non siano tipi "infantili"...). La sua risposta è palesemente insensata; è ovvio che Tip non senta freddo in quel momento, tanto più che non sono sulla porta di casa, e come si vede poco più avanti al piccolo tocca ancora il compito di mettere a posto i suoi giochi prima di uscire.
La cosa più normale che farebbe una mamma, in questo caso, è portarsi la felpa nella borsa, per tirarla fuori quando serve effettivamente; invece lei già gli scaglia addosso la nota maledizione del peggio per te, e gli prospetta una bella corsetta per riscaldarsi dall'eventuale freddo che patirà (per sudare anche un po' magari). La durezza di questa affermazione è contraffatta dal verbo su cui si appoggia: la mamma "sospira", non "grida" o "ribatte" o più semplicemente "risponde", sospira è come dire che è già vessata dalle bizze di Tip, sta già esercitando un atto di pazienza, è già candidata vittima, se non si trasforma in domatrice. 
Dopo che Tip si rifiuta di mettere a posto i giochi, ricorrendo ad una bugia (non sono stato io a fare disordine! E' stato l'orsacchiotto Teddy!) e pronunciando persino un'impudente dichiarazione di ammutinamento (e a me il disordine piace, così ho tutti i miei giochi a portata di mano), la voce narrante annuncia 

topo Tip e la mamma escono a fare commissioni, ma il topino non ha finito i suoi capricci...

La prospettiva di lettura è ormai definitivamente cristallizzata.
Usciti di casa incontrano un venditore ambulante di giocattoli (guarda caso), e Tip ovviamente ne reclama uno per sé (voglio la paperetta gialla!); qui la mamma sfoggia le sue ragioni, una sull'altra, in una posizione di vantaggio assoluto: non glielo compra perché è disordinato, ha già tanti giocattoli e poi 

non si dice "voglio": lo sai che l'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re

E con quest'ultima affermazione la complicità del lettore adulto è assicurata. L'affermazione "io voglio" è, infatti, il più incrollabile dei tabù dell'infanzia. 
Anche nella fase dei suoi primi balbettii, se una bambino pronuncia questa formula basta contare fino a tre e lo si vedrà immediatamente redarguito con incomprensibili sentenze come quella dell'erba voglio, o con direttive implacabili del tipo non si dice "io voglio" ma "io vorrei", "io vorrei per favore", "potrei avere per piacere", e altre infinite circonlocuzioni che assicurino la giusta dose di umiltà al semplice atto del richiedere; poco importa se la stessa facoltà desiderare venga diluita e smorzata in questo adattamento posticcio ad una convenzione imposta anzi tempo, poco importa se anche l'espressione di un bisogno (voglio un bicchier d'acqua) debba essere marcata dalla stessa vaghezza ottativa dell'espressione di un sogno (vorrei avere le ali), ci penseranno i vari libri di self-help, gli psicologi dei talk-show, gli "esperti" dei rotocalchi, o la folta schiera di terapeuti occidentali e di saggi orientali ad insegnare all'adulto di domani che volere-è-potere", che la volontà-è la-chiave-dell'autorealizzazione e che il desiderio-è-il-motore- dell'universo. Se gli andrà bene, in età avanzata, imparerà a dire un autentico "io voglio" senza che la mannaia dell'autocensura si abbatta implacabile dalla sua coscienza. In caso contrario,  la sua volontà sarà sostituita da una comoda protesi fatta in serie, con un bel marchio di conformità sociale.
Ritornando a Tip, dopo il giocattolo, eccolo che vuole fare ancora un giro sulla giostra, ma è ora di andare, ne ha fatti già cinque di giri e la magnanima mamma non si limita a dirgli un legittimo no, ma gli ricorda che

i tuoi amici sono più obbedienti di te

poi è la volta del gelato, ma non può averlo, perché è quasi ora di cena, lo aspetta la buona zuppa di carote; dopo di che si avvicinano tre cuccioli-animaletti-bambini che vorrebbero giocare con  il suo pallone, e lui si rifiuta (la palla è mia, ci gioco solo io!), e qui è segnato un punto facile a suo sfavore, il biasimo dell'universo è assicurato.

Gli amici allora se ne vanno. Topo Tip si accorge che giocare da solo non è molto divertente

L'ipotesi che Tip possa trarre  giovamento dallo starsene solo con la sua palla non è considerata,  è sicuramente un altro dei suoi capricci, e come tale non può produrre nessun beneficio, ma solo noia e isolamento. Perché condividere-i-propri-giochi-con-gli-altri-bambini è un comandamento implicitamente prescritto fino dai primi anni di vita, associato spesso all'aspettativa di un'amicizia universale e istantanea con tutti i coetanei, sicuramente garantita dall'anagrafe.
Nel frattempo è arrivata l'ora di tornare a casa, e l'infelice topino, stanco di camminare, chiede di essere preso in braccio
ma ecco la risposta che ottiene dalla mamma, che proprio sta perdendo la pazienza 

camminare ti fa bene, e poi io sono stanca e tu sei diventato pesante a forza di mangiare gelati

Tip non ci può stare più nelle braccia della mamma non perché è diventato grande (sarebbe come riconoscergli uno statuto di certo più "dignitoso" in questa circostanza) ma perché è pesante, è un topino grasso che si è abbuffato di gelati, che si vergogni.
Chissà poi chi gli ha comprato tutti quei gelati prima, chissà perché in altre circostanze gli sono stati concessi, nonostante i deleteri influssi sul suo peso forma.
Così il grasso, ingordo, pigro, egoista topino oppone l'ennesima resistenza allo svolgimento dei programmi della mamma (non vengo a casa!): è quasi sera, e lei ha ancora da fare, (il papà ci aspetta, e devo ancora preparare la cena) poverina, ha un marito inabile, ma Tip si ostina a crearle problemi, scappa via e si nasconde dietro un cespuglio, e siccome a tutto c'è un limite e la corda si spezza e la goccia fa traboccare il vaso, la santa donna dice

guarda che ora ma ne vado e ti lascio qui

e va via sul serio. Se ne torna davvero a casa. Che coerenza. Così Tip rimane da solo ai giardini, per quanto tempo non è specificato, ma certo fino al calare del buio: l'oscurità lo avvolge, occhietti misteriosi lo circondano, mamma!! Aiuto!! Dove sei?. Voltiamo pagina e lo vediamo disteso sull'erba, faccia in giù, le manine sugli occhi, che piange disperato, tremante di freddo e di paura. 
La sua posizione di debolezza, enfatizzata qui con efficacia, non lo rende titolare di diritti inderogabili, non lo rende degno di compassione, ma rimarca la sfrontatezza dei suoi precedenti tentativi di auto-affermazione: un patetico sbruffone che se la fa sotto non appena deve cavarsela da solo. Quando arrivano la mamma e il papà, in mano la lanterna e sulla faccia un bel sorriso rassicurante, si getta fra le loro braccia e recita la formula del pentimento

d'ora in poi sarò un topolino buonissimo! Metterò in ordine la mia camera, non mangerò più pasticci, non dirò più "voglio" e dividerò i miei giochi con gli amici. Ma soprattutto non scapperò mai più!

Il burattino di legno è diventato un bambino vero: ridotto alla totale obbedienza di fronte alla minaccia dell'abbandono. La voce narrante conclude la vicenda con queste parole
chissà se riuscirà a mantenere tutte le sue promesse!
e si guarda bene dal dire ai nostri bambini che questo a loro non può accadere, perché in Italia l'abbandono di minori è un reato, ed è perseguito dalla legge.
La mamma perderebbe l'aureola se si mostrasse capace di compiere atti illeciti e l'intera parabola dell'addestramento perderebbe di valore senza la plausibilità del castigo inflitto a Tip. Punirne uno per educarne cento.
Sarà per questo che è un libro di grande successo? Sarà per questo che lo si incontra spesso nelle biblioteche pubbliche, negli asili nido e nelle scuole materne? 
Si compiace il signor Dami, nell'intervista citata sopra, della popolarità dei suoi personaggi, che sono la consolazione delle mamme italiane; è fiero della sua strategia di promozione della lettura, che sa intrecciare con tanta disinvoltura alle politiche di vendita dei suoi prodotti, resi democraticamente disponibili nei supermercati, a prezzi modici, in modo che la gente compri un libro proprio come farebbe con una melanzana.
Ma siamo fieri noi di fare educare i nostri bambini da una melanzana?


domenica 20 gennaio 2013

Topo Tip non vuole dormire dai nonni

Ecco un libro di addestramento esemplare, che mi stupisce ogni volta che mi capita fra le mani.
Il piccolo Tip deve andare a stare dai nonni per alcuni giorni, perché i genitori partono per un breve viaggio. Naturalmente all'inizio si oppone, piange e protesta, ma poi scopre che a casa dei nonni (ovviamente buoni e gentili) ci si può divertire un sacco e per di più, essendo felicemente sopravvissuto al distacco da mamma e papà, si accorge con fierezza di essere diventato grande.
Come per tutti gli episodi della serie, in quarta di copertina ricorre questa didascalia:

Topo Tip fa i capricci, proprio come i nostri bambini. Ma la sua mamma è bravissima: sa farlo smettere e lui torna ad essere un topino bravo e ubbidiente. Come farà?

Il racconto si snoda, quindi, su scambi comunicativi costruiti con il solo scopo di far emergere gli stereotipi, opposti e complementari, del bambino-che-fa-i-capricci e del bravo-bambino-ubbidiente, per confezionare agilmente l'opportuno caso di addestramento da esibire.
Ad avviare questo processo di polarizzazione, in questo caso, sono proprio i mansueti genitori (qui la "bravissima" mamma è affiancata dal babbo): carezzevoli e imperturbabili, oppongono alle domande e alle reazioni di Tip la calma inespugnabile di un risponditore automatico, esasperandolo al punto da renderlo un perfetto bambino-che-fa-i-capricci da ammansire.
Ecco, nello specifico, cosa succede: la scena si apre con il papà che torna a casa baldanzoso e sventola -il braccio levato in alto- un biglietto colorato. Tip dice «Ciao papà» e lui, cito

«Sorpresa!» dice alla mamma «Partiamo per un bel viaggio! Ho già comperato il biglietto aereo»

quindi Tip lo saluta, ma il papà, preso dall'entusiasmo, non gli risponde neanche, e comunica la bella notizia rivolgendosi solo alla mamma.
Voltiamo pagina e vediamo sulla facciata di sinistra i due genitori, fianco a fianco, sorridenti, che guardano insieme una guida turistica e Tip, nella pagina adiacente, tutto solo, con il berretto in testa e in mano una piccola valigia con le stelline, la sua. E' andato di corsa a prepararla perché crede di dover partire anche lui.

«Che bello! Si parte!» dice «Dove andiamo?» «La mamma ed io andiamo in viaggio da soli, questa volta» gli risponde il papà «tu andrai dai nonni!»

C'è stato un equivoco. Tip ha inteso, legittimamente, che il papà si stesse rivolgendo anche a lui, che l'annuncio festoso del viaggio imminente fosse, in qualche modo, una risposta al suo ciao papà. Ma il padre non prova neanche ad assumersi la responsabilità del malinteso e alla stringata spiegazione che fornisce (la mamma ed io andiamo in viaggio da soli) sovrappone, di seguito, una prescrizione (tu andrai dai nonni).
Il fatto che Tip sia andato a preparare la valigia con prontezza fa pensare che i tre abbiano viaggiato insieme in altre circostanze (del resto il padre dice che questa volta viaggeranno da soli), e che Tip sia abbastanza "grande" anche per provare interesse verso la meta del viaggio, di cui, però, nessuno gli parla.
Non si capisce cosa impedisce ai genitori di renderlo comunque partecipe del loro progetto, magari mostrandogli la guida turistica, parlandogli dei posti che visiteranno, del motivo per cui ne sono attirati e delle cose che si aspettano di vedere. L'esclusione fisica è rimarcata dalla completa esclusione emotiva anche nelle due pagine seguenti: Tip è da solo nella facciata di sinistra, e la mamma è tutta sulla destra, che prepara i bagagli, dandogli le spalle 

«Non voglio andare dai nonni!» piagnucola il topino «Voglio partire insieme a voi e volare anch'io sull'aeroplano!» 

La richiesta di Tip è già sminuita dal fatto che è stata formulata "piagnucolando", non dicendo, esclamando, o ben più seriamente piangendo. Piagnucolare ha una connotazione evidentemente negativa, è un lamento fastidioso, insistente ma privo di contenuti ritenuti validi. La sorridente mamma, di spalle, gli dice, tutta intenta a sistemare i vestiti nella propria valigia, che dai nonni si divertirà, e che 

«Ormai sei grande e starai benissimo qualche giorno senza di noi» 

Tip, dunque, esprime con chiarezza il desiderio di condividere l'esperienza del viaggio e di volare in aereo, ma la mamma chiude la questione facendo previsioni illegittime (vedrai come ti divertirai...ma che ne sa lei?) e circoscrivendo il suo dispiacere al solo fatto che dovrà stare lontano dai genitori, cosa che, già da sola, trattandosi, come sembra, della prima volta, meriterebbe certo un'attenzione maggiore.
In conclusione, il desiderio manifestato non viene neanche recepito, e il disagio sotteso, legato al primo distacco prolungato, viene liquidato con poche parole, pronunciate per giunta durante lo svolgimento di un'altra attività.
Eppure la "bravissima" mamma, elogiata nella didascalia, dovrebbe sfoggiare chissà quali arti pedagogiche, ma evidentemente la qualità-modello proposta in questo episodio si limita alla tanto apprezzata "fermezza", qualità che gode di buona fama presso gli adulti-educatori anche quando è la accidentale conseguenza di un problema di sordità.
E' evidente che qui nessuno ha ascoltato quello che dice Tip, nessuno ha comunicato veramente con lui, magari piegandosi sulle ginocchia e guardandolo negli occhi, nessuno gli ha presentato quella novità con le dovute spiegazioni e la necessaria considerazione.
Lo accompagnano, quindi, a casa dei nonni e nel commiato lui

...si aggrappa disperato alla mamma: non vuole proprio lasciarla andare via. «Papà, mamma, portatemi con voi!» 

ma non c'è risposta; genitori e nonni (adorabili e placidi vecchietti con occhiali e bastone) lo guardano con indulgenti sorrisi, in piedi, composti, con il busto appena inclinato in avanti e lo sguardo rivolto in basso, verso Tip, laggiù, piccolissimo, che si stringe alla gonna rosa della mamma.
Al termine dei tre giorni, dopo che ha vissuto un condensato di tutti i presunti desideri di un bambino (torta con panna e cioccolato, tante coccole certamente, e varie bucoliche esperienze) Tip gongola compiaciuto della sua rapida maturazione, e naturalmente conclude la vicenda chiedendo di ripetere l'esperienza.
Tip, ti preferivo nella prima parte della storia, quando "piagnucolavi" ed esprimevi le tue legittime emozioni; a vederti adesso, troneggiare su una grande cipolla, con il busto eretto e le braccia conserte, che proclami di essere diventato grande, mi sembri davvero un po' bacchettone.
Te la se bevuto proprio. Non puoi essere diventato grande in tre giorni, ma neanche un pochino più grande di prima, non in questo modo. E se anche così fosse, credimi, non sarebbe per niente un bell'affare.


domenica 13 gennaio 2013

I libri, i bambini, e le intenzioni degli adulti



È bello leggere insieme, grandi e piccoli, dico; guardare i disegni e ricomporre lentamente una storia, scoprire le cose e i loro nomi, poggiare il dito su un dettaglio ed entrare nell'immagine, lasciarsi condurre dai colori, dalle facce, dal suono delle voci, dai gesti rappresentati e da quelli immaginati. È bello, è come farsi le fusa, o avventurarsi in uno spazio nuovo con la complicità di due escursionisti affiatati. 

I bambini, oggi, dispongono di una vastissima produzione editoriale dedicata proprio a loro, fatta di bellissimi albi illustrati, di robusti libri carbonati, di versatili libri in stoffa o in plastica, di libricini minuscoli a misura di manina o di libri immensi da stendersi dentro tutti interi.
Nelle biblioteche o nelle librerie, negli ipermercati o nella sala d'attesa del pediatra, possono incontrare il libro giusto per loro e sotto gli occhi forse stupiti, ma di certo compiaciuti, dei genitori, possono farlo entrare nel loro mondo, insieme al pupazzo e al biberon, e vivere il piacere della lettura con la stessa spontaneità del gioco, in un'età in cui l'inizio della suola è ancora molto lontano.

Da questo felice incontro parte il sentiero che conduce a un territorio selvaggio, rigoglioso, multiforme, dalle infinite variabili; una foresta lussureggiante dove il bisogno di sbocciare di chi racconta viene fecondato dalla curiosità tutta-occhi-e-orecchie di chi accoglie quel racconto e ci si immerge, per dare vita a nuovi e imprevedibili fiori, o a rari e anarchici frutti.
Succede, però, alle volte, che in questo luogo selvatico si voglia controllare la fioritura e selezionare il raccolto, che si voglia approfittare dell'inesauribile fertilità che lo caratterizza per piantare un'intenzione e coltivare uno scopo, minacciando, così, l'integrità di un ambiente che andrebbe tutelato con grande rigore e smaliziata vigilanza.

Mi riferisco ai “libri di addestramento”, cioè a quei libri prodotti con il fine preciso di ottenere dal piccolo lettore una determinata "prestazione": andare all'asilo raggiante di felicità, mangiare tutti i cibi con saggio sperimentalismo, amare il fratellino o la sorellina con materna indulgenza, andare a dormire all'ora giusta e nel posto giusto con olimpica serenità, diventare autonomo ma riconoscere che gli adulti -genitori, nonni, insegnanti, baby-sitter, dottori- hanno sempre e comunque ragione.
Al di là dell'esito specifico che possono ottenere, questi libri inquinano il rapporto con la lettura perché ne legittimano la strumentalizzazione.
Si potrebbe obiettare che da tempi immemorabili si riconosce alle fiabe la facoltà di produrre un “cambiamento” nel destinatario, e che questo cambiamento è in un’ultima analisi riconducibile comunque al miglioramento della relazione fra se stessi e il mondo. Ma è evidente che si tratta di due cose molto diverse: non a caso la fiaba è ambientata in uno spazio e in un tempo immaginari, perché si muove su un piano simbolico, e solo con il contributo attivo del destinatario quella trasformazione può riempirsi di contenuti; e i contenuti non sono mai univoci o predeterminati, sono frutti selvatici, appunto, e non si possono controllare.
Anche le più utilitaristiche favole, dove lintento moraleggiante è palese, danno degli strumenti potenzialmente universali, senza circoscriverli in uno specifico ambito di applicazione: in alcuni casi sarà utile essere prudenti, in altri coraggiosi, in alcuni casi fiduciosi, furbi o sinceri, ma non è prescritto il preciso dato biografico in cui bisogna esserlo.
Nei libri di addestramento, invece, il contesto in cui si svolge l’azione mima la quotidianità del piccolo lettore proprio perché possa riconoscersi bene, agganciandolo in una prospettiva plasmata sul reale, di modo che la specifica risposta emotiva proposta possa facilmente iscriversi nella stessa dimensione oggettiva. E, cosa ancora più seria, si presentano come normali e giusti modelli di relazione fra adulti e bambini fortemente sbilanciati sul punto di vista, le aspettative, e le contraddizioni degli adulti stessi, camuffandoli dietro una falsa complicità con luniverso emotivo dei bambini.

Il caso più esemplare è rappresentato dalla serie di Topo Tip: ogni libro è un pretesto per ammaestrare questo topino lagnoso che non vuole andare all’asilo, non vuole andare dai nonni, non vuole dormire da solo e naturalmente dice le bugìe. La conclusione è sempre la stessa: adesione entusiastica a tutto ciò a cui inizialmente si opponeva. I genitori, saggi e sorridenti lo abbracciano felici; loro non riconoscono mai un errore, non hanno niente da imparare, non escono mai cambiati dal confronto con le emozioni di Tip, non sono inclusi in questo processo di trasformazione, aspettano solo, con virtuosa pazienza, che Tip si sintonizzi sul loro punto di vista.
Sulla stessa linea si collocano anche gli episodi de La famiglia Orsetti, famiglia composta da Mamma Orsa, Papà Orso, Orsetta e Orsetto, con una sorellina che arriva strada facendo, di modo che tutte le dinamiche possibili siano rappresentate, rivalità fra fratelli in crescita comprese.
Sullo sfondo, immancabile, la tradizionale famiglia modello, la mamma col grembiule, che cuce o fa le torte, e il papà che va al lavoro o legge il giornale; per onorare la par condicio giusto un episodio dedicato alla mamma in carriera, che resta però isolato, senza sviluppo nei libri seguenti, senza ripercussioni sulle torte e sulla quotidianità dei coniugi felici.
Penso che se proprio vogliamo convocare un libro in questi delicatissimi momenti di passaggio dovremmo essere molto esigenti, per non rischiare di aderire inconsapevolmente a proposte educative (e commerciali) standardizzate.
Fortunatamente ci sono libri che sanno raccontare con autentica empatia i turbamenti connessi alle complicazioni del vivere e che non si propongono come strumento per risolvere un problema ma come spazio per riconoscere le emozioni in gioco, che aprono significati anziché circoscriverli, in un processo in cui anche gli adulti possono sentirsi coinvolti.
E fortunatamente ci sono anche libri che divertono e basta, cosa che può avere sorprendenti effetti collaterali.