Topo Tip fa i capricci si potrebbe dire il libro-manifesto della serie. Pubblicato per la prima volta nel 2003, ha avviato al successo questo personaggio che è ormai diventato un divo da due milioni di copie, come afferma compiaciuto il suo editore in un'intervista di qualche mese fa per «Io Donna» .
Che Tip sia un tipo "capriccioso" ce lo ricorda sempre la didascalia che incornicia ognuna delle sue avventure (Topo Tip fa i capricci, proprio come i nostri bambini, ma la sua mamma è bravissima...), e un episodio dedicato tutto alle sue bizze sembra essere quindi un'occasione perfetta per conoscere bene questo topino, rappresentante dei nostri bambini, e la sua saggia genitrice, modello di talento pedagogico.
Topo Tip è un bravo topino, ma questa mattina si è svegliato di umore particolarmente capriccioso
Si è svegliato così, dunque, Tip, quasi posseduto da una disposizione d'animo di cui non è propriamente lui il titolare, un virus di cui soffre con una certa frequenza, preparatevi a vedere cosa combinerà oggi. L'aspettativa del lettore è orientata in una direzione ben precisa: tutti i comportamenti che Tip metterà in atto sono sicuramente sbagliati e privi di senso, determinati appunto dall'umore che gli è piombato addosso al risveglio; d'altro canto il processo di identificazione è garantito dal fatto che Tip sia definito comunque un bravo topino (da un "cattivo topino" si prenderebbe, di certo, maggiore distanza).
Eccolo allora sfoggiare il tipico campionario dei presunti atti di disobbedienza di un bambino, che si susseguono qui con un'insistenza davvero tendenziosa, funzionale a inscrivere lui nello stereotipo dell'insopportabile piantagrane e la mamma in quello della santa donna
La prima manifestazione del morbo in questa sfortunata giornata è il suo rifiuto di mettersi la felpa prima di uscire.
Mettiti la felpa a fiori, così starai ben caldo quando usciamo a passeggio
Visto che sono ancora dentro casa, Tip non sente l'esigenza di coprirsi ulteriormente
non la voglio! Sto benissimo con questa maglietta!
Peggio per te! Se avrai freddo, farai una bella corsa!, sospira la mamma
Ora, se la premessa non avesse provveduto a manipolare la prospettiva del lettore, sarebbe più facile insospettirsi di fronte ad una risposta del genere, anzi sarebbe più plausibile pensare che è la mamma ad essersi svegliata capricciosa (o nervosa, stanca, stressata, per gli adulti va così, capricciosi non sono mai, a meno che non siano tipi "infantili"...). La sua risposta è palesemente insensata; è ovvio che Tip non senta freddo in quel momento, tanto più che non sono sulla porta di casa, e come si vede poco più avanti al piccolo tocca ancora il compito di mettere a posto i suoi giochi prima di uscire.
La cosa più normale che farebbe una mamma, in questo caso, è portarsi la felpa nella borsa, per tirarla fuori quando serve effettivamente; invece lei già gli scaglia addosso la nota maledizione del peggio per te, e gli prospetta una bella corsetta per riscaldarsi dall'eventuale freddo che patirà (per sudare anche un po' magari). La durezza di questa affermazione è contraffatta dal verbo su cui si appoggia: la mamma "sospira", non "grida" o "ribatte" o più semplicemente "risponde", sospira è come dire che è già vessata dalle bizze di Tip, sta già esercitando un atto di pazienza, è già candidata vittima, se non si trasforma in domatrice.
La cosa più normale che farebbe una mamma, in questo caso, è portarsi la felpa nella borsa, per tirarla fuori quando serve effettivamente; invece lei già gli scaglia addosso la nota maledizione del peggio per te, e gli prospetta una bella corsetta per riscaldarsi dall'eventuale freddo che patirà (per sudare anche un po' magari). La durezza di questa affermazione è contraffatta dal verbo su cui si appoggia: la mamma "sospira", non "grida" o "ribatte" o più semplicemente "risponde", sospira è come dire che è già vessata dalle bizze di Tip, sta già esercitando un atto di pazienza, è già candidata vittima, se non si trasforma in domatrice.
Dopo che Tip si rifiuta di mettere a posto i giochi, ricorrendo ad una bugia (non sono stato io a fare disordine! E' stato l'orsacchiotto Teddy!) e pronunciando persino un'impudente dichiarazione di ammutinamento (e a me il disordine piace, così ho tutti i miei giochi a portata di mano), la voce narrante annuncia
topo Tip e la mamma escono a fare commissioni, ma il topino non ha finito i suoi capricci...
La prospettiva di lettura è ormai definitivamente cristallizzata.
Usciti di casa incontrano un venditore ambulante di giocattoli (guarda caso), e Tip ovviamente ne reclama uno per sé (voglio la paperetta gialla!); qui la mamma sfoggia le sue ragioni, una sull'altra, in una posizione di vantaggio assoluto: non glielo compra perché è disordinato, ha già tanti giocattoli e poi
non si dice "voglio": lo sai che l'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re
E con quest'ultima affermazione la complicità del lettore adulto è assicurata. L'affermazione "io voglio" è, infatti, il più incrollabile dei tabù dell'infanzia.
Anche nella fase dei suoi primi balbettii, se una bambino pronuncia questa formula basta contare fino a tre e lo si vedrà immediatamente redarguito con incomprensibili sentenze come quella dell'erba voglio, o con direttive implacabili del tipo non si dice "io voglio" ma "io vorrei", "io vorrei per favore", "potrei avere per piacere", e altre infinite circonlocuzioni che assicurino la giusta dose di umiltà al semplice atto del richiedere; poco importa se la stessa facoltà desiderare venga diluita e smorzata in questo adattamento posticcio ad una convenzione imposta anzi tempo, poco importa se anche l'espressione di un bisogno (voglio un bicchier d'acqua) debba essere marcata dalla stessa vaghezza ottativa dell'espressione di un sogno (vorrei avere le ali), ci penseranno i vari libri di self-help, gli psicologi dei talk-show, gli "esperti" dei rotocalchi, o la folta schiera di terapeuti occidentali e di saggi orientali ad insegnare all'adulto di domani che volere-è-potere", che la volontà-è la-chiave-dell'autorealizzazione e che il desiderio-è-il-motore- dell'universo. Se gli andrà bene, in età avanzata, imparerà a dire un autentico "io voglio" senza che la mannaia dell'autocensura si abbatta implacabile dalla sua coscienza. In caso contrario, la sua volontà sarà sostituita da una comoda protesi fatta in serie, con un bel marchio di conformità sociale.
Ritornando a Tip, dopo il giocattolo, eccolo che vuole fare ancora un giro sulla giostra, ma è ora di andare, ne ha fatti già cinque di giri e la magnanima mamma non si limita a dirgli un legittimo no, ma gli ricorda che
i tuoi amici sono più obbedienti di te
poi è la volta del gelato, ma non può averlo, perché è quasi ora di cena, lo aspetta la buona zuppa di carote; dopo di che si avvicinano tre cuccioli-animaletti-bambini che vorrebbero giocare con il suo pallone, e lui si rifiuta (la palla è mia, ci gioco solo io!), e qui è segnato un punto facile a suo sfavore, il biasimo dell'universo è assicurato.
Gli amici allora se ne vanno. Topo Tip si accorge che giocare da solo non è molto divertente
L'ipotesi che Tip possa trarre giovamento dallo starsene solo con la sua palla non è considerata, è sicuramente un altro dei suoi capricci, e come tale non può produrre nessun beneficio, ma solo noia e isolamento. Perché condividere-i-propri-giochi-con-gli-altri-bambini è un comandamento implicitamente prescritto fino dai primi anni di vita, associato spesso all'aspettativa di un'amicizia universale e istantanea con tutti i coetanei, sicuramente garantita dall'anagrafe.
Nel frattempo è arrivata l'ora di tornare a casa, e l'infelice topino, stanco di camminare, chiede di essere preso in braccio
ma ecco la risposta che ottiene dalla mamma, che proprio sta perdendo la pazienza
camminare ti fa bene, e poi io sono stanca e tu sei diventato pesante a forza di mangiare gelati
Tip non ci può stare più nelle braccia della mamma non perché è diventato grande (sarebbe come riconoscergli uno statuto di certo più "dignitoso" in questa circostanza) ma perché è pesante, è un topino grasso che si è abbuffato di gelati, che si vergogni.
Chissà poi chi gli ha comprato tutti quei gelati prima, chissà perché in altre circostanze gli sono stati concessi, nonostante i deleteri influssi sul suo peso forma.
Chissà poi chi gli ha comprato tutti quei gelati prima, chissà perché in altre circostanze gli sono stati concessi, nonostante i deleteri influssi sul suo peso forma.
Così il grasso, ingordo, pigro, egoista topino oppone l'ennesima resistenza allo svolgimento dei programmi della mamma (non vengo a casa!): è quasi sera, e lei ha ancora da fare, (il papà ci aspetta, e devo ancora preparare la cena) poverina, ha un marito inabile, ma Tip si ostina a crearle problemi, scappa via e si nasconde dietro un cespuglio, e siccome a tutto c'è un limite e la corda si spezza e la goccia fa traboccare il vaso, la santa donna dice
guarda che ora ma ne vado e ti lascio qui
e va via sul serio. Se ne torna davvero a casa. Che coerenza. Così Tip rimane da solo ai giardini, per quanto tempo non è specificato, ma certo fino al calare del buio: l'oscurità lo avvolge, occhietti misteriosi lo circondano, mamma!! Aiuto!! Dove sei?. Voltiamo pagina e lo vediamo disteso sull'erba, faccia in giù, le manine sugli occhi, che piange disperato, tremante di freddo e di paura.
La sua posizione di debolezza, enfatizzata qui con efficacia, non lo rende titolare di diritti inderogabili, non lo rende degno di compassione, ma rimarca la sfrontatezza dei suoi precedenti tentativi di auto-affermazione: un patetico sbruffone che se la fa sotto non appena deve cavarsela da solo. Quando arrivano la mamma e il papà, in mano la lanterna e sulla faccia un bel sorriso rassicurante, si getta fra le loro braccia e recita la formula del pentimento
d'ora in poi sarò un topolino buonissimo! Metterò in ordine la mia camera, non mangerò più pasticci, non dirò più "voglio" e dividerò i miei giochi con gli amici. Ma soprattutto non scapperò mai più!
Il burattino di legno è diventato un bambino vero: ridotto alla totale obbedienza di fronte alla minaccia dell'abbandono. La voce narrante conclude la vicenda con queste parole
chissà se riuscirà a mantenere tutte le sue promesse!
e si guarda bene dal dire ai nostri bambini che questo a loro non può accadere, perché in Italia l'abbandono di minori è un reato, ed è perseguito dalla legge.
La mamma perderebbe l'aureola se si mostrasse capace di compiere atti illeciti e l'intera parabola dell'addestramento perderebbe di valore senza la plausibilità del castigo inflitto a Tip. Punirne uno per educarne cento.
La mamma perderebbe l'aureola se si mostrasse capace di compiere atti illeciti e l'intera parabola dell'addestramento perderebbe di valore senza la plausibilità del castigo inflitto a Tip. Punirne uno per educarne cento.
Sarà per questo che è un libro di grande successo? Sarà per questo che lo si incontra spesso nelle biblioteche pubbliche, negli asili nido e nelle scuole materne?
Si compiace il signor Dami, nell'intervista citata sopra, della popolarità dei suoi personaggi, che sono la consolazione delle mamme italiane; è fiero della sua strategia di promozione della lettura, che sa intrecciare con tanta disinvoltura alle politiche di vendita dei suoi prodotti, resi democraticamente disponibili nei supermercati, a prezzi modici, in modo che la gente compri un libro proprio come farebbe con una melanzana.
Ma siamo fieri noi di fare educare i nostri bambini da una melanzana?